In un periodo dominato dalla moda dei tecnici, con le questioni economiche che sembrano essere diventate l’unico argomento di discussione, apriamo una finestra su un fatto che, probabilmente, divide le sensibilità di destra da quelle di sinistra.
Il fatto da cui trae spunto il presente post è la concessione, da parte dell’amministrazione Pisapia, dei fondi anticrisi non solo alle famiglie “tradizionali”, ma anche a tutti coloro che, sotto lo stesso tetto, sono legati da vincoli affettivi pur senza essere sposati (coppie di fatto).
Premesso che sono abbastanza certo di non appartenere alla categoria delle persone intolleranti o “razziste”, in generale ritengo che le categorie di discriminazione e razzismo non debbano intervenire nella questione perché assolutamente non pertinenti.
Mi spiego meglio. La Costituzione (e riprendo parte delle considerazioni avanzate da Avvenire, quotidiano dei vescovi), parla di “diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”, e impegna la Repubblica ad agevolare “con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose”. Queste considerazioni non sono isolate, da parte di molti si è opposta una critica di anticostituzionalità al provvedimento di Pisapia che anteporrebbe una regolazione amministrativa ad un principio costituzionale.
Ma al di la dell’aspetto, se volete, formale, pur non essendo tra i padri fondatori della Repubblica, mi pare abbastanza logico che il dettato costituzionale derivi da un ragionamento ben preciso:
• Lo Stato è stabile e sano se la società è stabile e sana
• Famiglie stabili e sane sono importanti per avere una società sana
• Lo Stato ha “interesse” a favorire famiglie stabili e sane
La domanda è: si conviene che una famiglia fondata sulla “contrattualizzazione” pubblica di un impegno, quale è il matrimonio (N.B. Evidentemente il matrimonio è molto di più, qui ci si limita a sottolinearne la valenza utile all’argomento di cui parliamo), offra più garanzie di stabilità bla bla bla di una situazione “di fatto”?
Da questo punto di vista Avvenire è piuttosto esplicito: “porre sullo stesso piano coppie che – sposandosi civilmente o religiosamente – assumono un preciso impegno pubblico e persone che – per scelta, o per impossibilità – non rendono vincolanti i propri legami ‘affettivi’, significa violare la lettera e lo spirito della nostra Carta fondamentale”.
Credo che in pochi, tra i dotati di onestà intellettuale, avrebbero da obiettare. Ma andiamo oltre: se, per quanto ci siamo detti, le agevolazioni alle famiglie non si configurano come il riconoscimento di un diritto generale e indiscriminato, ma proprio come incentivo alla realizzazione di un obiettivo specifico, per quale ragione dovrebbe essere considerata discriminazione l’esclusione di chi non ha le caratteristiche per realizzare lo scopo (per scelta, tra l’altro)?
Un esempio inventato per rendere l’idea? Supponiamo di trovarci nel Far West e che il Governo degli Stati Uniti voglia stimolare la coltivazione della terra e la colonizzazione, e conceda appezzamenti di terreno a fronte dell’impegno formale alla coltivazione della terra per, diciamo, 5 anni. Potrebbe, chi non sottoscrive l’impegno, accusare il Governo di discriminazione per il fatto di non avere accesso alla elargizione del terreno??!?!? Evidentemente no!
A ciò aggiungiamo che, in molte delle città in cui si è istituito un registro delle coppie di fatto (es. Bologna e Gubbio), le pagine del registro sono rimaste bianche!!! (ma come, non si trattava di un problema pressante, di una battaglia di civiltà??!?!?)
Mi rendo conto di aver trattato troppo “pane e salame” argomenti su cui si dovrebbe essere più precisi, ma mi interessava unicamente contribuire al dibattito su un tema rispetto al quale spesso prevalgono logiche di convenienze da “politically correct” piuttosto che logiche di sano buonsenso.